«Aldilà di Trump»
Il vino Castelnovese cerca altri mercati e scopre il turismo
«L’aumento dei dazi americani in teoria non ci dovrebbe colpire. In pratica ci attendiamo un pesante effetto boomerang ». Come tutti i produttori e l’indotto, sta col fiato sospeso Matteo Rossotto, presidente del Consorzio di tutela del Freisa di Chieri e Collina torinese Doc.
Il presidente statunitense Donald Trump ha messo nero su bianco la sua intenzione di triplicare i dazi sulle esportazioni (al momento sono al 10%) a partire dal 1° agosto, e il mondo del vino italiano trema.
Sono preoccupati i produttori dei vini di alta gamma, Barolo e dintorni, ma anche chi, come i produttori di Freisa, negli Stati Uniti esportano ben poco. Rossotto spiega perché: «Se i grandi esportatori di vini italiani avranno difficoltà a smerciare negli Usa, dirotteranno sul mercato interno le loro eccedenze e si scatenerà una lotta sul prezzo che, da un lato, avrà le grandissime cantine e, dall’altro, aziende di dimensione famigliare come le nostre».
Ma piangersi addosso è una perdita di tempo: «Se la prospettiva è quella di vendere meno vino, all’estero o in Italia, le nostre aziende dovranno cercare di fare fatturato in altre direzioni, e molte si sono già attrezzate in questo senso: fare agriturismo, proporre esperienze in cantina e in vigna, e così via».
Se il presidente Trump manterrà ciò che ha scritto nero su bianco, sarà a rischio il settore vitivinicolo piemontese che nel 2024 ha esportato negli Usa vini per 430 milioni di euro. «Ma il punto è proprio qui: Trump manterrà la sua parola? – si domanda da Castelnuovo il direttore della cantina sociale Terre dei Santi, Paolo Aiassa – Comunque vada a finire, però, il dato di fatto è che in futuro, sul piano commerciale, gli Usa saranno un partner sempre meno affidabile, la loro credibilità finirà sotto terra ».
Domenico Capello, dell’azienda La Montagnetta, è stato uno dei promotori del progetto “+Freisa”, per la valorizzazione dei vini prodotti con questo vitigno. Lui fa due conti: «Dalle Langhe ci sono aziende che spediscono negli Usa il 5050% della loro produzione. Ma una bottiglia che qui costa 8 euro e che ora è venduta negli Usa a 24 salirebbe a 32 e c’è il rischio che resti sugli scaffali. A mio parere non patirà tanto la fascia alta, quella del Barolo o del Barbaresco, ma quella intermedia».
Proprio qui sta il problema, perché questa è la categoria del Castelnovese e del Chierese. Un vero peccato, perché il lavoro su qualità del prodotto e marketing sta cominciando a portare frutti: «Freisa o Malvasia soprattutto negli ultimi due anni, avevano iniziato a ricevere consensi sul mercato americano – riflette Rossotto – che è curioso verso le Doc meno conosciute ».
Chi non potrà più esportare negli Usa cercherà altri mercati? «Di sicuro. Ma non sarà né semplice né rapido perché, se lo fosse, lo si sarebbe già fatto – risponde Aiassa – C’è però da pensare che prima o poi il mercato delle esportazioni si riconfigurerà, e gli Usa avranno un ruolo marginale».
Si beve di meno
La questione dei dazi va ad aggravare una situazione che è già critica di per sé, per due ragioni. La prima è la tendenza verso una diminuzione dei bevitori abituali, solo in parte compensata da un aumento dei consumatori occasionali, con un calo dei consumi totali.
«Cambiano i gusti, ci sono le mode, gli aspetti salutistici – esemplifica Aiassa – E poi la gente chiede vini che abbiano qualità elevata e gradazione alcolica più contenuta. Vini di minor gradazione si possono produrre, ma non dall’oggi al domani, perché bisogna partire da nuovi vigneti».
Anche dal nuovo Codice della Strada è arrivata una mazzata: «Non tanto per i ristoranti nei centri urbani, ma per quelli fuori città – analizza Capello – La norma, comprensibile nelle intenzioni, ha mancato l’obiettivo: ha spaventato in maniera esagerata la fascia dei consumatori tra i 50 e i 60 anni, che anche dopo aver bevuto un paio di bicchieri a cena sarebbero stati nelle condizioni di guidare senza pericoli, e non ha colpito i giovani che tirano giù superalcolici nelle discoteche».
Il secondo aspetto è quello legato al clima: «Va a profilarsi una situazione che ha del paradossale – afferma Aiassa – I vigneti sempre ritenuti migliori, quelli esposti in pieno sud, si troveranno a fare i conti con una insolazione eccessiva. Per contro, vigneti meno vocati come quelli esposti a est, ora stanno diventando di sempre maggiore interesse » .
Se poi si aggiungono le patologie, vecchie o emergenti (black rot o “marciume nero”, flavescenza dorata, peronospora, mal dell’esca), sul tavolo si radunano un bel po’ di variabili: «Tanto che un viticoltore, quando una vigna arriva a fine ciclo, si trova di fronte al dilemma: “ripianto o non ripianto?”».
Il turismo da esplorare
«Non staremo col cerino in mano, ad aspettare che altri dispongano per noi – incoraggia Rossotto – Ognuno si sta muovendo in direzioni differenti: se arriverà una crisi ci colpirà solo in parte».
Il turismo è un capitolo ancora semi-inesplorato: «Dobbiamo cambiare mentalità: ieri vendevamo un prodotto, oggi e domani venderemo anche esperienze, senza limiti per la fantasia: gite in ebike o a cavallo, yoga tra i filari, cena in vigna o sull’aia».
Concorda Paolo Aiassa: «Lo vediamo nel nostro punto vendita: c’è un gran passaggio di turisti interessati al vino, e un numero considerevole di stranieri».