Avete idee per gli stranòt?
Il gruppo della Vijà. Nei ritratti, da sinistra: don Marco di Matteo e Alessandro Sicchiero
Settembre-Vijà
Enrico Bassignana  
12 Settembre 2025

Avete idee per gli stranòt?

«Ditelo al Corriere di Chieri». L’appello di Franca Aiassa

«Aiutateci a scegliere i temi degli stranòt per l’anno prossimo o, se c’è qualcuno che se la sente, provate a scriverne voi». Dal palco della Vijà la regista, Franca Aiassa, lancia insieme una sfida e un “SOS”: «Se c’è qualcuno che mastica un po’ di piemontese, è attento ai fatti e misfatti cittadini e sa raccontarli con un po’ d’ironia si faccia avanti». E poi chiede un aiuto al Corriere di Chieri, per far da… casella postale: richiesta accolta, chi volesse cimentarsi con gli stranòt può inviare un’email a info@corrierechieri.it, con “Stranòt” come oggetto, e il recapito per essere contattato. Ma come si scrive uno stranòt? Prendendo a modello quelli scritti in passato dai tre grandi, vale a dire Beppe Barberis, Bebi Martano e “Cesco” Molino, si possono individuare quattro caratteristiche.

La prima è la lingua: chierese se possibile, o almeno il piemontese. La seconda: tutti gli stranòt iniziano con “Fas an saot…” (faccio un salto) e terminano con “An sel cher!” («sul carro!»: è quello che trasporta le reliquie di San Giuliano e Santa Basilissa, e una volta l’anno si trasformava in palco per improvvisati dicitori).

Terzo, la metrica: si può andare a quartine, con rima baciata (AA-BB). Ma l’aspetto più importante è quello della lunghezza: lo stranòt più è breve e incisivo e più è apprezzato sia dal pubblico, sia da chi lo recita.

Quarto e ultimo aspetto, il tema. «Da ‘ns ër chèr peudi dì tut» (dal carro potete dire tutto) garantisce l’“achit”, cioè la poesia che sempre apre lo spettacolo. Ma il “tutto” va detto impugnando il fioretto e non uno spadone a due mani o una testata nucleare, usando le armi dell’ironia e del buonsenso ed evitando le scurrilità.

Per chiudere, un consiglio per chi volesse scrivere: dare un’occhiata alla poderosa raccolta “Stranòt”, a cura di Valerio Maggio e Cesare Matta. Prima si fa l’orecchio sulle rime dei grandi, e poi si appoggia la penna al foglio: “Fas an saot…”.