La Pace a Villanova
Villanova d’Asti
Nicolò Dutto  
21 Ottobre 2025

La Pace a Villanova

Cinque stanze dove la comunità islamica può ritrovarsi: «La discriminazione qui non esiste»

A pochi passi dal Bar Roma, in pieno centro a Villanova, c’è un locale piuttosto anonimo. Dietro la porta, si trovano cinque stanze che ospitano l’associazione Pace: qui la comunità islamica della zona ha un luogo dove ritrovarsi e dove farsi trovare.

«La porta è sempre aperta, per chiunque voglia entrare a scoprire chi siamo e cosa c’è dentro».

Così accoglie sulla soglia Mohamed El Omari, il presidente. Origine marocchina, è da più di trent’anni in Italia. L’associazione, invece, è nata 12 anni fa. La scintilla è stato un caso preciso: aiutare un cittadino marocchino in difficoltà economica, dandogli uno spazio dove ospitarlo.

Dall’emergenza è nata un’esperienza di condivisione che poi è cresciuta sia nella comunità islamica sia al suo esterno: «Con le persone italiane c’è un rapporto ottimo. Qua la parola discriminazione non esiste – sorride El Omari – Ci ritroviamo molto spesso a parlare al bar con persone italiane, ormai non ci distinguiamo neanche…».

Quella di Villanova è infatti una storia di integrazione che ha coinvolto le istituzioni, la gente comune e anche la parrocchia: qui la differenza di credo non è stata una barriera. «Don Michelino Cherio, quand’era parroco, ha ospitato tanti di noi in parrocchia quando arrivavamo in Italia e non potevamo permetterci l’affitto – ripercorre El Omari – Quando è andato in pensione, l’abbiamo invitato qui per un ultimo saluto, è stata una persona molto importante per noi».

Quando è diventato parroco don Carlo Rampone, l’associazione islamica ha organizzato un pranzo di benvenuto, per coltivare questa collaborazione interreligiosa. Negli anni, crescendo, l’associazione è stata sempre più presente a Villanova, infatti oggi la maggior parte dei cittadini la conosce e ha stretto rapporti con i membri musulmani.

I ragazzi islamici frequentano la scuola e fanno sport assieme a tutti gli altri giovani della zona.

«La religione per noi non è mai stata una barriera. I nostri figli studiano qua, il crocifisso nelle scuole non è mai stato un problema per noi».

Dalla scuola al lavoro, il rapporto non cambia: quasi tutti i musulmani lavorano fianco a fianco con persone di altra nazionalità.

«C’è chi lavora in fabbrica, chi al mercato e altri che sono idraulici, ognuno ha un lavoro diverso».

Possibile che non esista nessuna discriminazione, neppure quella, sottile, di uno sguardo di traverso in strada? Di un cenno di disapprovazione di fronte a una donna con il velo?

«D’estate mi capita spesso di uscire in tunica a fare la spesa o a passeggiare e questa cosa non ha mai attirato sguardi o giudizi da parte di nessuno- racconta El Omari – Questa cosa vale allo stesso modo anche per le donne, nessuno ha mai giudicato la scelta di mettere il velo».

Se la tolleranza è così diffusa, è perché ci hanno lavorato anche le sostituzioni politiche. le istituzioni locali hanno lavorato ad accogliere: «Il sindaco, Roberto Peretti, era in carica quando abbiamo iniziato questo progetto – racconta il , vicepresidente Nourdin Mougat – Al tempo ci ha aiutato molto, spiegandoci i passaggi burocratici da fare e dandoci consigli utili». Anche con il successore Giordano, dal 2012 al 2022, i rapporti sono stati ottimi. Durante il suo mandato è avvenuta l’inaugurazione. Durante il suo mandato è avvenuta l’inaugurazione.

In futuro c’è anche la possibilità che uno o più membri della comunità faranno parte dell’amministrazione comunale: «Abbiamo anche intenzione di candidarci per una carica comunale, ma al momento è solo un’idea, non c’è niente di concreto», accenna El Omari. Quello al 47 di via Roma è principalmente un luogo di culto: tre stanze rivestite di tappeti tradizionali, dedicate alla preghiera, più un bagno e una cucina. Oltre alla preghiera, qui si tengono lezioni di arabo e momenti di ritrovo. «Teniamo corsi di lingua araba ai nostri ragazzi, perché è importante per trasmettere la cultura delle nostre origini. Ma a volte vengono a seguire le lezioni anche bambini italiani».

A gestire l’associazione siamo circa una decina tra uomini e donne, tutti marocchini, ma a far parte della comunità islamica sono più di 100 persone tra cui egiziani, senegalesi, ghanesi e albanesi musulmani.

Tra le varie nazionalità c’è sufficiente integrazione? «Noi marocchini siamo circa il 90% della comunità, ma abbiamo ottimi rapporti con tutti, soprattutto con albanesi e senegalesi», risponde El Omari.

L’associazione è totalmente autofinanziata. Non può ricevere i fondi dell’8×1000 e del 5×1000 perché l’Islam, a differenza di altre confessioni religiose, non ha un’associazione unica in sua rappresentanza. Dunque lo Stato italiano non ha potuto firmare un’intesa.

Di solito le moschee e le associazioni culturali ricevono finanziamenti dagli Stati islamici da cui provengono i fedeli, ma il Marocco finanzia solo le associazioni principali, ad esempio la Federazione Islamica del Piemonte. Per questo, ogni mese i frequentatori fanno una donazione che copre le spese di affitto e di gestione.

Nel futuro, il progetto principale è trovare un locale di proprietà dove potersi ingrandire.

«Così potremmo dedicare spazio anche per studiare ai ragazzi e per incontrarsi – immagina Mougat- Ma al momento è complicato, soprattutto perché non abbiamo finanziamenti che ce lo possano permettere».